lunedì 29 settembre 2014

Recensione "Cercando Alaska" di John Green



"Miles Halter, solitario collezionista di Ultime Parole Famose, lascia la tranquilla vita di casa per cercare il suo Grande Forse a Culver Creek, una prestigiosa scuola in Alabama. E' qui che conosce Alaska. Brillante, buffa, svitata, imprevedibile e molto sexy, per Miles diventa un enigma, un pensiero fisso, una magnifica ossessione"


Vorrei dire che conoscevo questo straordinario autore e le sue opere prima dell'esplosione della "John Green Mania", ma purtroppo non è così. Ringrazio allora che Colpa delle Stelle abbia fatto tanto successo arrivando anche a me e alla mia geniale professoressa di italiano, che mi ha spinto a non fermarmi alla storia di Hazel e Gus e di andare a conoscere anche quella di Miles Halter.

Miles è uno studente come molti altri: ha dei genitori un po' troppo affettuosi, si prefigge buoni risultati nello studio, ha molti problemi a socializzare. Probabilmente ha passioni un po' particolari, non si sente spesso un adolescente che colleziona Ultime Parole Famose. Ciò che lo caratterizza, però, è la sua ricerca di un Grande Forse, di un futuro emozionante che gli permetta di crescere e vivere avventure emozionanti. 
Andare in una nuova scuola, a chilometri di distanza da casa, può essere un primo passo di questa ricerca, ma sono le persone che incontra a cambiare veramente la vita di Miles. Hyde, il Colonnello, l'Aquila, Takumi, Lara e, soprattutto, Alaska, uno dei personaggi femminili più complessi che io abbia trovato. Forte e al contempo irritante, pazzamente allegra e profondamente triste. Questa ragazza cambierebbe la vita di chiunque e di sicuro sconvolge quelle di tutti coloro che incontra.

Il libro di John Green è ricco di personaggi che non possono essere divisi tra buoni e cattivi, ma che suscitano, tutti, incluso il protagonista, simpatie e antipatie a seconda del momento, delle loro azioni e delle loro parole. Veniamo messi di fronte a un mondo in cui gli adolescenti infrangono le regole, sono alla ricerca di un futuro migliore, si fanno scherzi pesanti un minuto e quello dopo sono tutti amici, disposti ad allearsi per uno scopo comune. Incontriamo un ambiente in cui è impossibile scegliere da che parte stare, perchè alla fine non ci sono fazioni propriamente separate. Un mondo in cui le tragedie accadono e bisogna superarle, in qualche modo. 

Lo stile dell'autore è come sempre adatto a tutti, sarcastico, chiaro, ma efficace. E' capace di colpirci in pieno con le pungenti considerazioni del narratore e dei personaggi, facendoci riflettere su noi stessi e sulla nostra vita. A mio parere, Green non impone un finale a questo romanzo: siamo noi, dopo aver analizzato i vari dati che ci vengono proposti, a decidere cosa è veramente successo e, almeno nel mio caso, a immaginare un finale alternativo. 

Tempo di lettura: due giorni
Giudizio: assolutamente positivo, affascinante, intrigante, tiene con il fiato sospeso.
Voto: 10 e lode.

Andrò il prima possibile a comprare "Città di Carta", non posso non leggere altri libri di questo autore. Vorrei però chiudere il post con una domanda: qual è il nostro Grande Forse? Qual è quell'occasione che cerchiamo per cambiare le nostre vite?

giovedì 18 settembre 2014

Scuola, quel dolce inferno.

Le scuole d'Italia hanno ormai aperto i battenti e gli studenti, spesso controvoglia e desiderosi di ritornare all'estate, hanno ripreso la loro routine di vita. 
Come buona parte dei miei cari colleghi, preferirei non dovermi svegliare alle 6 del mattino per salire in tempo su un autobus affollato, puzzolente e soffocante. Tuttavia, ho sviluppato un pensiero sul ritorno allo studio e sono certa che qualcuno, nel fondo della sua coscienza, la condividerà.
Passi per gli orari improponibili -ma ai quali un giorno dovremo pur abituarci, se vogliamo vivere nel mondo reale-, passi l'avere idee migliori per passare un pomeriggio, piuttosto che studiare e fare i compiti - sebbene anche questo non sia altro che un modo per prepararci al futuro-, passi il generale odio per l'ansia pre-interrogazione, passi il desiderio - perfettamente condiviso anche da me- di non rivedere persone a cui si augurerebbe di cuore di inciampare e rompersi una gamba. Passi tutto questo. Possiamo dire che la scuola sia solo ciò che ho appena descritto? E allora sarebbe più facile chiamarla tortura.
Noi poveri studenti non abbiamo bisogno di essere compatiti, il nostro non è un lavoro e dovremmo rendercene conto. Studiare è un regalo che doniamo a noi stessi. Un giorno tutto questo impegno, spesso non volontario, darà i suoi frutti. Magari non troveremo subito il lavoro della nostra vita, non saremo subito felici. Ma avremo comunque una ricchezza incommensurabile, ma spesso ignorata: la conoscenza. Non starò, come i filosofi che l'anno scorso mi hanno fatta impazzire, a dire che la conoscenza sia uno dei modi per raggiungere la felicità. Non è così. Siamo sinceri, nessuno salterà mai di gioia dopo aver imparato il Teorema di Pitagora o aver imparato a memoria canti della Divina Commedia. Tutto questo però - e soprattutto lo sforzo per imprimerli nella nostra memoria - ci lascerà qualcosa che ci farà crescere, ci insegnerà a ragionare, a impegnarci e, di conseguenza, a vivere.
Non andiamo a scuola solo per imparare la chimica e la letteratura italiana e la storia, ma per capire come funzionerà la vita in futuro. Dovremmo ringraziare allora, perchè non tutti hanno avuto questa possibilità. E dovremmo ringraziare quei rari - ma grazie al cielo, esistenti - professori che provano davvero a farci migliorare a livello umano. Forza, se qualcuno davvero mi sta leggendo, pensate ai vostri insegnanti, passati o presenti, e ringraziatene uno. Comincerò io, per dare l'esempio: ringrazio di tutto cuore quella professoressa che, con tutta la sua passione, mi ha fatto amare il greco antico, insegnandomi che l'impegno e un buon modo di porsi potranno portare solo a risultati positivi. Anche se serve imparare a memoria tutti i paradigmi più improponibili. Per chi come me ha studiato greco, non vi siete mai chiesti come facevano loro a ricordarseli tutti?
Dopo tutto questo sproloquio, torno a lamentarmi per la sveglia di domani mattina, che suonerà troppo presto.
Alla prossima, cari amici.